Rifugiati e emergenza casa, la verità dell’assessore Baldassarre a Porta a Porta

Immobilismo? Ma quando mai. L’accoglienza agli stranieri richiedenti asilo e gli aiuti alle famiglie senza casa sono nell’agenda del Campidoglio dal primo giorno di insediamento. “Finalmente a Roma stiamo uscendo dalla logica di emergenza e affrontando problemi decennali”. E’ così che l’assessore al Sociale Laura Baldassarre riassume l’impegno della giunta Raggi per immigrazione ed emergenza abitativa alle telecamere di Porta a Porta. Rigettando qualunque accusa di inefficienza e non accennando mai a difficoltà se non relative a quanto (non) fatto dalle amministrazioni passate, ripete come un mantra la stessa versione fornita dal 19 agosto scorso, giorno dello sgombero degli eritrei da via Curtatone, in poi: Roma ha fatto la sua parte.

“Roma aderisce allo Sprar”

L’ha fatta per uomini e donne che arrivano in Italia e richiedono la protezione internazionale. “Abbiamo aderito al sistema di protezione di rifugiati e richiedenti asilo (Sprar, ndr), che consente alle persone di iniziare un percorso nella legalità”. Già, ma l’assessore sembra ignorare le difficoltà del sistema. Il numero di posti offerti si aggira intorno allo 0,1%, una persona accolta ogni 1.000 abitanti, per un totale nell’ultimo bando di 2.774 posti d’accoglienza. Un numero già esiguo, senza contare che le ultime gare sono andate parzialmente deserte. La giunta Raggi è riuscita ad affidarne tramite procedura pubblica solo 1.988. Secondo i dati forniti in un dossier di In Migrazione, ne mancano all’appello 786, quasi il 30% in meno. Roma aderisce sì allo Sprar, come oltre un migliaio di Comuni italiani, ma la rete rimane insufficiente a coprire la domanda.  

“Torneremo ad assegnare case popolari”

Per quanto riguarda invece l’emergenza casa, che accomuna tutti coloro che non ce la fanno a pagare un affitto, italiani e non, ricordiamo la nomina dell’assessore Rosalba Castiglione dopo un anno di nulla in materia. Ma Baldassarre rivendica fiera un lavoro “tutto nuovo sull’emergenza abitativa, ci stiamo muovendo dopo un’inerzia che a Roma va avanti da decenni”. Concretamente? Abbiamo due delibere di fine luglio con un piano di assistenza per circa 6mila famiglie entro il 2019. Ma l’esercito di senza casa è stimato intorno a circa 20mila nuclei. 

Una goccia nel mare insieme alle 1200 case, sempre in tre anni, che consentiranno di far scorrere le graduatorie Erp, punto di forza su cui Baldassare ribatte il ferro sempre caldo: “Torneremo a dare case popolari a chi le attende da anni, questa è la priorità”. Già, in realtà i 1200 alloggi se ripartiti su tre anni diventano 400 l’anno, un numero vicino ai 500 (dato di Unione Inquilini) già assegnati nel 2015 e nel 2016. Comunque cifre irrisorie a fronte di 15mila domande. 

Battute generiche e poco mirate anche alla domanda su sgomberi e occupazioni. Al “cosa avete intenzione di fare con i cento palazzi occupati in città?” risponde facendo riferimento alle disposizioni del Governo centrale sulla possibilità di utilizzo dei beni confiscati alla mafia per accogliere gli sgomberati: “Faremo mappature”. Quali soluzioni per chi, nel frattempo, finisce per strada? Vedi le famiglie di via Quintavalle, in parte ancora accampate davanti alla basilica dei Santi XII Apostoli.

“Accogliamo le fragilità”

“Continueremo con l’accoglienza delle fragilità, 80 persone hanno accettato le soluzioni proposte, anziani, disabili, bambini hanno cominciato un nuovo percorso”. Già, sempre la stessa soluzione, il minimo sindacale (imposto dalla legge) che prevede la divisione dei nuclei familiari. La stessa offerta agli sgomberati di via Curtatone rispedita al mittente in gran parte dei casi. “La sala operativa sociale è sempre stata presente fin dal primo istante” ripete Baldassarre. Nessuna falla e nessun errore, nonostante la città sia puntellata di presidi umanitari itineranti e accampamenti improvvisati figli di sgomberi e sfratti. Piuttosto “serve collaborazione” ripete per l’ennesima volta, tornando a via Curtatone e al censimento impedito dagli occupanti. “Se ai nostri operatori sociali viene impedito l’ingresso per nascondere le reali condizioni in cui sono ridotti gli immobili non possiamo lavorare come dovremmo”.

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